giovedì 30 agosto 2012

Tratto da "Relazione finale Anno di Formazione"


L'esperienza è la madre della scienza
Henry George Bohn (1796-1884)



Classe I Scuola Primaria
(Insegnamento: matematica)


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I livelli raggiunti quasi dall’intera classe sono stati ottimali e tutto è avvenuto con naturalità. Non dimentichiamo che le abilità matematiche sono innate e universali e costituiscono un vero e proprio modulo cognitivo specifico anche se, pian piano, il bambino acquisisce, grazie al suo percorso didattico, una competenza numerica linguistico-simbolica e, oltre a comprendere la numerosità, ne apprende l’ordine, la posizionalità delle cifre, che lo aiuta nella comprensione,  oltre che, a livello metacognitivo, facendolo divenire in grado di comprendere con inferenze i diversi compiti e riflettere sulle strategie più o meno funzionali.
Tra i ricercatori ai quali ho fatto riferimento spiccano, appunto, le interessanti ricerche di Gelman e Gallister; secondo le loro tesi, nello studio dello sviluppo del concetto di numero, è necessario distinguere due tipi di processi: il processo di astrazione ed il processo di ragionamento. Se nel primo processo è importante la numerosità, anche approssimativa, senza sforzo consapevole, quindi la conta spontanea, il secondo consiste nell’operare sulle numerosità, cioè nella capacità di fare inferenze sulle relazioni (maggiore, minore e uguale) e trasformazioni numeriche (addizione e sottrazione). Secondo Butterworth tutti nasciamo con un cervello che contiene uno specifico modulo numerico che classifica il mondo in termini di “numerosità” e poi i bambini estendono la capacità del modulo in base alle risorse culturali, cioè essi hanno in realtà le “aspettative numeriche”. Alla luce di tali premesse i bambini di classe I C hanno saputo ben sfruttare il cosiddetto modulo aritmetico, anche laddove l’età è stata inferiore (si ricorda Tommaso che ha compiuto 6 anni nel mese di aprile); pertanto, gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti a ottimi livelli dalla classe, che si è divertita attraverso varie formule perché, secondo quanto recitano i programmi ministeriali  L'educazione matematica contribuisce alla formazione del pensiero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione, di progettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verifica o smentita.
Lo sviluppo del concetto di numero naturale va, pertanto, stimolato, valorizzando le precedenti esperienze degli alunni nel contare e nel riconoscere simboli numerici, fatte in contesti di gioco e di vita familiare e sociale, nonché attraverso attività didattiche che ho cercato di improntare in vari momenti dell’anno all’insegna del gioco in classe.
Va tenuto presente, inoltre, che l'idea di numero naturale è complessa e richiede, pertanto, un approccio che si avvale di diversi punti di vista (ordinalità, cardinalità, misura, ecc.); la sua acquisizione avviene a livelli sempre più elevati di interiorizzazione e di astrazione durante l'intero corso di scuola elementare, e oltre. Il numero, cosi come rammenta la prefazione del libro Lo sviluppo dell’intelligenza numerica di Daniela Lucangeli, docente ordinario all’Università di Padova, che si occupa di ricerca nell’ambito dell'apprendimento e dell'educazione, con particolare riferimento all'apprendimento matematico, caratterizza la vita di ciascuno di noi e solo attraverso la sua comprensione riusciamo quotidianamente a muoverci in questo meraviglioso e complesso universo; al risveglio calcoliamo il tempo disponibile per fare colazione e correre al lavoro per poi finire di contare tutti gli impegni della giornata. Parlando di numeri non possiamo solo limitarci a considerare la matematica come apprendimento formale, cosi come viene insegnata a scuola, ma dobbiamo ampliare il nostro orizzonte fino a comprendere le nostre prime esperienze numeriche. Per decenni l’ipotesi di Piaget ha illuminato il mondo scientifico, portando numerosi elementi a conferma della dipendenza della competenza numerica dalle strutture dell’intelligenza generale. L’idea di numerosità non sembrava poter emergere prima dei 6/7 anni con il pensiero operatorio. Ma l’ipotesi di Piaget è stata progressivamente superata a partire dalle ricerche che dimostrano l’esistenza di processi di comprensione e rappresentazione mentale della numerosità indipendenti da quelli verbali, sin dalla nascita. Occorre, dunque, potenziare tempestivamente queste intuizioni numeriche, fin dai primi anni di vita, sostenerli e stimolarli.


Piaget è stato uno dei primi ad interrogarsi su come si costruisca il concetto di numero nel bambino, che acquisisce il concetto di numerosità solo attraverso una graduale elaborazione delle operazioni di classificazione e di seriazione e questo sviluppo avviene per tappe successive, parallelamente al rafforzarsi delle strutture logiche.
Secondo il teorico, i bambini giungono alla piena consapevolezza che la quantità si conserva intorno ai 7 anni.
Studi successivi hanno, però, dimostrato la debolezza di tali teorie e le ricerche sperimentali condotte a partire dagli anni 80 hanno portato ad ipotizzare che una rappresentazione della numerosità nel bambino sia presente fin dalla nascita, ma, prima dei 6 anni, sia sviata da indizi percettivi quali la grandezza e la disposizione spaziale degli elementi dell’insieme.
Infatti, un bambino appena nato non sa certamente determinare il numero di elementi di un insieme, ma possiamo ritenere, in seguito ai risultati delle ultime ricerche sul campo, che percepisce come differenti, insiemi con numerosità distinte: dati due insiemi, ad esempio, di due e tre elementi, è in grado di notare la differenza. Questo processo specializzato di percezione visiva è chiamato subitizing o immediatizzazione e consente di determinare la numerosità di un insieme visivo di oggetti in modo immediato, senza contare; il numero massimo di oggetti percepibili in questo modo pare sia quattro circa. Esistono altre capacità numeriche presenti sin dalla nascita - e proprie non soltanto della specie umana – nel senso che i bambini distinguono i cambiamenti di numerosità provocati dall’aggiunta o sottrazione di oggetti, ossia possiedono “aspettative aritmetiche”.
Secondo Butterworth (1999) il genoma umano contiene le istruzioni per costruire circuiti cerebrali specializzati che chiama Modulo numerico.
Secondo questa tesi, le capacità numeriche sono modulari, cioè costituiscono un modulo cognitivo caratterizzato dalla specificità di dominio: estraggono solo un tipo di informazioni dai sensi in modo rapido e automatico. Le abilità matematiche sono geneticamente codificate e presenti fin dalla nascita, non è necessario apprenderle. Ciò che le rende uniche è lo sviluppo e la trasmissione di strumenti culturali che ampliano le facoltà del “Modulo Numerico”.
Perché allora alcune persone sembrano essere completamente non “portate” per l’apprendimento matematico?
Secondo ancora Butterworth, come ci sono le persone che nascono cieche ai colori, ci sono anche individui che nascono con una sorta di cecità per i numeri.
La vasta esperienza compiuta ha, però, dimostrato che non è possibile giungere all'astrazione matematica senza percorrere un lungo itinerario che collega l'osservazione della realtà, l'attività di matematizzazione, la risoluzione dei problemi, la conquista dei primi livelli di formalizzazione. In qualità di insegnante mi sono sforzata di svilupparli in modo coordinato, approfittando di tutte le occasioni sia per richiamare questioni di tipo matematico, sia per collegarli con argomenti di altre discipline. Nella fase iniziale del mio lavoro in classe ho ritenuto opportuno e utile applicare la metodologia della mediazione, appresa attraverso l’approfondimento sul Metodo Feuerstein, al quale resto particolarmente legata, in vista della sua diretta applicabilità nei vari ambiti scolastici al fine, da mediatrice, di rendere il bambino in grado di gestire anche il suo comportamento, invece di dipendere principalmente da un controllo esterno. Attraverso l'esperienza di apprendimento mediato, il bambino può imparare a gestire le sue risposte e le sue azioni, in modo che siano adeguate agli stimoli. (v. R. Feuerstein, Y. Rand, R. Feuerstein. In collaborazione con N. Laniado e G. Pietra, 2005. La disabilità non è un limite. Se mi ami costringimi a cambiare. Firenze. Libri, Liberi).
La mediazione è finalizzata ad insegnare al soggetto a controllare l'impulsività, affinché le proprie reazioni non siano dominate esclusivamente dall'emotività. E' rilevante che il bambino impari a posticipare le gratificazioni, a tollerare le frustrazioni e sia in grado di sostenere la fatica che il conseguimento di un obiettivo comporta. In qualità di mediatrice ho cercato di creare situazioni di lavoro che progressivamente hanno messo gli allievi in condizioni di rimandare la gratificazione, se necessario, al fine di raggiungere quanto prefissato. E' bene introdurre limiti chiari e sensati, affinché il bambino, crescendo,  impari a porsene autonomamente.
Il bambino va, pertanto, guidato a riconoscere le proprie emozioni, a ragionare sulle reazioni e sui comportamenti, a pensare prima di reagire (creando un intervallo tra stimolo e risposta) e a conoscere i propri processi cognitivi;  non a caso lo slogan un momento…sto pensando è riconducibile all’ambito matematico, dove frenare l’impulsività ed attivare giusti processi risolutivi è fondamentale. L'acquisizione di queste competenze è indispensabile, perchè il bambino possa divenire un adulto equilibrato e consapevole.
Per questa ragione, è bene chiarire che quando si parla di Metodo Feuerstein si discute principalmente di pedagogia della mediazione, dove per mediazione si intende la possibilità di un adulto di organizzare, prevedere e analizzare le interazioni necessarie all'educabilità cognitiva del soggetto che apprende; pertanto il suddetto metodo è applicabile ad ogni ambito disciplinare.
L'essere umano può apprendere in due modi: attraverso la diretta esposizione agli stimoli o grazie all'intervento di un mediatore. Queste due tipologie  di apprendimento possono coesistere e sono entrambe utili. La diretta esposizione agli stimoli, solitamente rappresenta un tipo di apprendimento causale e non pianificato ed è sicuramente il più frequente. L'apprendimento mediato, invece, è intenzionale e si basa su di un'interazione: necessita, infatti, di un adulto, un mediatore, che si interponga tra il soggetto e l'ambiente esterno e faccia da filtro.
L'educatore che media deve saper selezionare gli stimoli, proteggendolo da esperienze che potrebbero nuocergli e impartendogli insegnamenti generalizzabili. Gli stimoli vanno poi organizzati, perciò l'adulto deve aiutare il bambino a creare nella propria mente i concetti di spazio e di tempo.
Ho, pertanto,  cercato di applicare anche in classe questi principi che nel tempo ho interiorizzato.
L'apprendimento mediato consente al bambino di  sviluppare i prerequisiti e di acquisire gli strumenti necessari per  renderlo capace  di imparare ad imparare, influenzando le capacità cognitive  e inducendolo ad un maggior livello di modificabilità.
Mi sembra opportuno ricordare che la mediazione è un processo che può aver luogo in ogni momento della giornata; non serve un linguaggio particolarmente ricco e non è necessario nemmeno avere una gran cultura.
Tutti gli uomini per loro stessa natura desiderano imparare.(Aristotele).
Secondo le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria (D.Lgs. 59/2004 Allegato B), il bambino va appunto accompagnato nel passaggio dal mondo delle categorie empiriche al mondo delle categorie formali. A partire dalla visione “ingenua” del mondo e della vita elaborata nella scuola dell’infanzia, è necessario promuovere una nuova interpretazione della realtà alla luce delle categorie critiche, semantiche e sintattiche, tenendo conto che gli alunni accomodano sempre i nuovi apprendimenti a quelli già interiorizzati e condivisi, e che il ricco patrimonio di pre competenze, di conoscenze e abilità tacite e sommerse, già posseduto da ciascuno, influisca moltissimo sui nuovi apprendimenti formali e comportamentali.
Uno degli obiettivi che mi sono prefissata è quello del calcolo mentale e delle modalità attraverso cui tale competenza evolva nel bambino. Inizialmente la strategia adottata è stata quella del conteggio - cioè la strategia delle dita - che via via viene abbandonata dal bambino a favore di strategie basate sul recupero mnemonico dei risultati dei calcoli e delle procedure tipiche dell’operazione. Quindi, in classe, una volta acquisito il nome dei numeri, il bambino ha imparato a riconoscere i simboli arabici. Tuttavia, tale riconoscimento, in fase iniziale, non sempre implica la corrispondente acquisizione del valore quantitativo ed a lungo possono permanere errori di specularità e orientamento.  La competenza numerica non è un “tutto” che si coglie in un’unica volta, ma una gamma composita di abilità che si sviluppano in tempi differenti: abilità innate (come la percezione della numerosità) e acquisite (sequenza verbale), di natura operativa (porre in corrispondenza biunivoca) e logica (conservazione del numero). In particolare, in classe, superata questa fase di conoscenza grafica e di numerosità, ho avviato i bambini alle prime nozioni di calcolo riferendomi al modello a contatore di Pakman, (1972), secondo il quale il bambino inizia a contare dall’addendo maggiore e aggiunge, un’unità alla volta, quello minore (es. 4+3= 4+1+1+1), passando poi per la procedura di conta degli addendi sulle dita o con materiali scolastici quali regoli, matite, libri presenti in classe, esempi numerici sul numero dei bambini in classe, ecc.
Acquisite tali competenze, si è iniziato ad utilizzare le prime tabelle mentali a doppia entrata di Asccraft, in cui sono rappresentati i calcoli con operatori a una cifra (fatti aritmetici semplici). In memoria si crea, cosi, una struttura a rete, in cui le cifre da 0 a 9 (nodi genitori) sono poste orizzontalmente e verticalmente lungo gli assi principali, mentre le possibili risposte corrispondono ai nodi di intersezione. L’esercizio e la frequenza di presentazione dell’operazione hanno prodotto la forza di attivazione con cui ciascun nodo è interconnesso agli altri.
Ecco i primi lavori di rete semplice:










Anche Campbell, sul piano scientifico, riprende più volte il concetto di rete per l’attivazione mentale che il processo origina e la conoscenza procedurale, di cui parla Baroody (1983);  in tal modo si sviluppa e contribuisce ad aumentare l’efficacia del calcolo mentale. Durante questa fase si passa da processi basati su lente procedure di conteggio all’utilizzo di una serie di regole applicate in modo sempre più automatico. I bambini hanno imparato velocemente sia la regola secondo cui lo zero non cambia il risultato dell’addizione, sia quella in cui sommando 1 ad un numero si ottiene il numero successivo nella sequenza dei numeri naturali. L’utilizzo di tali regole consente di eliminare dalla tabella di Ashcraft tutte le entrate in cui uno degli operatori sia zero o uno, risultando,  secondo Baroody, cognitivamente più economico.
Tabelle con difficoltà progressiva: 










Nel momento in cui ho riscontrato processi cognitivi risultati “affaticati”, ho continuato a stimolare sinergicamente i diversi processi cognitivi sottostanti con particolare attenzione ai tre moduli di comprensione, produzione e calcolo.
Tenuto conto che il compito deve essere difficile quel tanto che basta per sollecitare la curiosità e migliorare la conoscenza, senza, tuttavia, diventare un ostacolo insuperabile o destinato probabilmente all’insuccesso, ho graduato gli esercizi.
Tabella complessa








Sono state utilizzate anche le altre modalità di calcolo:      







Compito primario dell’insegnante è, dunque,  vedere l’allievo come colui   che deve raggiungere  competenza e non “semplice” conoscenza.
 E’ importante, pertanto, riferendomi a Vygotskij, tener conto della zona di sviluppo prossimale. Quest’ultima è costituita da quelle funzioni che non sono ancora mature nel soggetto, che si trovano allo stato embrionale, ma che sono già presenti nel processo di maturazione.
Ciò avviene nel momento in cui, nel corso dell’istruzione scolastica, i concetti spontanei e i concetti che il bambino usa tutti i giorni vengono ristrutturati in concetti scientifici e astratti.
La mente, il cui sviluppo consiste nel padroneggiare le strutture simboliche, diviene, quindi, uno strumento di mediazione tra il mondo esterno e quello interno, in continua comunicazione. Questo tipo di  mediazione permette al bambino di attribuire un significato all’esperienza e di contribuire con la sua acquisizione al proprio sviluppo.
I concetti spontanei o quotidiani, dunque, svolgono diverse funzioni: forniscono il contenuto che viene utilizzato per spiegare e definire i concetti scientifici astratti, collegano i  concetti scientifici alle reali esperienze del bambino e gettano le basi per la conoscenza. I concetti scientifici, comunque, danno la struttura  necessaria affinché i concetti spontanei del bambino vengano definiti logicamente, diventino consciamente accessibili e possano essere usati deliberatamente.
In definitiva, secondo Vygotskij, è la disciplina formale dei concetti scientifici che trasforma progressivamente la struttura di quelli spontanei e ne favorisce l’organizzazione in un sistema.
Vygotskij afferma che i concetti spontanei arrivano ad un livello di consapevolezza, di controllo e di astrazione superiori, dando forma ad una zona di sviluppo prossimale, attraverso la quale l’allievo non è ancora passato. I concetti spontanei degli alunni sono situati all’interno di questa zona; essi emergono e vengono riorganizzati attraverso l’istruzione.
Una buona istruzione, quindi, deve essere rivolta alla  zona di sviluppo prossimale dell’alunno dato che essa precede e guida lo sviluppo:
Ciò che l’alunno riesce a fare in cooperazione oggi, potrà farlo da solo domani. Pertanto, l’unica buona forma di istruzione è quella che anticipa lo sviluppo e lo conduce; essa è definita da Vygotskij come uno spazio intermedio tra il livello attuale di sviluppo del bambino, determinato dalla sua capacità di risolvere da solo un problema, e il suo livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di risolvere un problema con l’aiuto di un adulto o di un coetaneo più competente.
Il  livello attuale di sviluppo, invece, racchiude le funzioni che sono già maturate, indica ciò che il bambino domina già da solo, il tipo e il livello di funzionamento cognitivo che è capace di attivare in maniera autonoma per risolvere un problema.
Il bambino opera all’interno della sua zona di sviluppo prossimale quando viene impegnato in un’attività didattica che richiede un livello di capacità lievemente superiore alle competenze da lui possedute perché possa eseguirla da solo, e la  risposta deve essere data con il sostegno di un adulto.
In questo l’insegnante svolge l’importante ruolo di mediatore delle attività di apprendimento dei suoi alunni, mentre essi condividono, attraverso l’interazione sociale, conoscenze e significati.  L’insegnamento si muove proprio nella  zona di sviluppo prossimale.[....]

(Estratto da tesi anno di formazione Ins Luigina Giglio)







 28/08/2012 






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